Con la sentenza n. 13676/14 del 16 Giugno 2014 le sezioni unite della S.C. di Cassazione sono state chiamate a dirimere un contrasto circa il termine da cui decorre il diritto di rimborso per una imposta dichiarata, dalla Corte di Giustizia europea, palesemente in contrasto con il diritto comunitario.

La querelle, che in questi anni è stata oggetto di differenti e contrastanti pronunce dei giudici di merito, ha come oggetto quale sia il dies a quo da cui decorra termine di decorrenza dell’esercizio del diritto al rimborso predetto, che può esser individuato o dal termine del versamento dell’imposta oppure dal momento in cui l’imposta stessa viene dichiarata incompatibile con l’ordinamento comunitario.

Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale del Veneto (in tale sede rigettato e confermato il diritto del contribuente al rimborso) circa la corresponsione della maggiore IRPEF trattenuta dal datore di lavoro sulle somme corrisposte ai sensi dell’art. 17 co. 4 DPR 917/86 (poi D.Lgs. 344/03) sull’incentivo alle dimissioni dei lavoratori che abbiano superato i 50 anni di vecchiaia per le donne e i 55 anni per gli uomini. La richiesta di rimborso proposta dal contribuente veniva presentata a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia Europea, con cui la stessa dichiarava una palese violazione del diritto al pari trattamento tra uomini e donne in merito all’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e alle condizioni di lavoro, stabiliti con Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976 (76/207/CEE)

La vicenda normativa, come ha riportato fedelmente la Suprema Corte, ha avuto (come spesso ahimè accade nel ns Paese) un iter alquanto peculiare:

inizialmente è stato disposto che alle somme corrisposte per incentivare il c.d. esodo volontario a coloro ai quali mancano pochi anni al pensionamento (come dicevamo 50 anni di vecchiaia per le donne e 55 per gli uomini – come stabilito dal D.Lgs. 344/03) si applica l’aliquota pari alla metà di quella indicata per la tassazione del TFR e delle altre indennità; poi la Corte di Giustizia Europea ha stabilito il contrasto tra tale normativa interna ed il principio di parità di trattamento in ambito lavorativo tra uomini e donne degli stati appartenenti all’Unione (sent. emessa il 21 Luglio 2005 nella causa C-207/04, Vergani). Successivamente, l’art. 36 co. 23 del D.L. n. 223/06 poi convertito nella L. n. 248/06 abrogò l’articolo predetto, sancendo, però l’applicazione dello stesso a quelle somme corrisposte prima dell’entrata in vigore del Decreto, o ad accordi o atti aventi come data certa, una data precedente all’entrata in vigore di tale nuova normativa. Tuttavia l’amministrazione finanziaria, con Risoluzione n. 112/E del 13 ottobre 2006, espresse l’avviso che le istanze di rimborso non sarebbero state accolte, specificando che non necessariamente la statuizione della Corte Europea si potesse risolvere nell’applicazione in favor degli uomini nel più basso limite di età, quanto si sarebbe potuto risolvere in un trattamento in pejus per le donne. A quel punto la Corte Europea, investita nuovamente della questione, ribadiva un concetto base del diritto comunitario tale per cui qualora si evidenzi un contrasto tra diritto interno e diritto comunitario, il giudice nazionale deve disapplicare la norma di diritto interno, finche non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento. Infine l’amministrazione finanziaria con Circ. n. 62/E del 29 dicembre 2008 prendeva effettivamente atto di detta pronuncia.

Orbene la Corte di legittimità si è trovata a comporre la lite tra le differenti pronunce, non a causa dell’overruling, quanto invece in relazione al principio dell’affidamento del contribuente nella legittimità comunitaria della norma impositiva interna.

In materia tributaria, giova ricordare, che in riguardo alla ripetizione dell’indebito pagamento vige un regime speciale, per cui la domanda di rimborso deve essere proposta entro il termine indicato per la singola legge di imposta o, in mancanza dalle leggi sul contenzioso tributario.

La Suprema Corte si sofferma sulla tematica della prescrizione e decadenza, rammentando che sono elementi essenziali tali per cui in ogni ordinamento giuridico si possa determinare la certezza del diritto.

I giudici di Piazza Cavour hanno, poi, ribadito il consolidato orientamento con il quale identificano il giorno di decorrenza del diritto di richiedere il rimborso nel dies a quo (e come tale non computabili) dell’avvenuto versamento, giustificando tale scelta nel fatto che il termine di decorrenza con riferimento ai versamenti in acconto decorre dal versamento del saldo nel caso in cui vi sia un’eccedenza di versamenti oppure che il pagamento sia dovuto a titolo provvisorio. Mentre decorre dal giorno del versamento dell’acconto stesso, nel caso in cui questo non fosse dovuto oppure o non lo fosse nella misura in cui è stato versato ovvero qualora venisse sancita l’inapplicabilità della legge con cui è stato stabilito l’obbligo di pagamento. E ancora la Corte di legittimità afferma che il termine di decorrenza non può farsi decorrere dall’emanazione di circolari o di risoluzioni ministeriali (anche in favore del contribuente), in quanto atti non aventi forza di legge.

Gli “ermellini” affermano, poi, che “la Corte di Giustizia non solo non è intervenuta (in malam partem, cioè con effetti preclusivi dell’esercizio del diritto) su norme di diritto processuale, ma neanche sulle disposizioni, di natura sostanziale (…) relative ai termini (di prescrizione o decadenza) per l’esercizio del diritto alla ripetizione dell’indebito tributario, bensì, con effetto ampliativo, su una norma tributaria che riduceva illegittimamente la portata di un beneficio fiscale”.

Dunque la S.C. di Cassazione, definitivamente pronunciando, asserisce che il contribuente per poter richiedere il rimborso dell’indebito tributo non deve attendere la dichiarazione di illegittimità della norma tributaria, né tantomeno la dichiarazione di incompatibilità della norma di diritto interno con l’ordinamento comunitario, facendo così spirare i termini del diritto al predetto rimborso, ma attivarsi sempre e comunque nei termini prescritti dalla legge.

A modestissima opinione della scrivente la Consulta non solamente formula un principio di diritto in palese violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost), ma assurdamente presuppone che il contribuente possa conoscere a priori che una norma sia in contrasto con l’ordinamento comunitario o, ancora, possa essere dichiarata illegittima.

Tuttavia, resta aperta, secondo la sottoscritta di poter adire la giustizia civile in forza del disposto di cui all’art. 2041 cc per indebito arricchimento, stante il principio di diritto generale (applicabile, pertanto, anche alla normativa tributaria) di cui all’art. 2033 cc.


Francesca Bettocchi

(bettocchi@nirolatorretta.com)

Avvocato in Bologna


.