La Corte Costituzionale ha dichiarato illegitto l’art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000 nella parte in cui punisce l’omesso versamento IVA, a seguito di dichiarazione annuale, entro i limite dei 103.291,38 € (per ciascun periodo di imposta), per i fatti commessi sino al 17 settembre 2011.

In seguito alle richieste di vaglio costituzionale avanzate dal Tribunale di Bologna e di Bergamo in rifermento all’art. 3 Cost., la Corte si è trovata ad esaminare il cursus storico della norma che punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto in seguito alla auto-dichiarazione annuale del contribuente.

Il giudice a quo ha sollevato la questione in riguardo al fatto che la norma in oggetto punisce con la pena della reclusione da sei mesi a due anni la condotta di colui che non versa nei termini previsti l’IVA dovuta sulla base della dichiarazione annuale. Dunque affinchè si configuri il reato di omesso versamento occorre che: 1) il versamento sia di importo superiore a 50.000,00 € e 2) sia stata regolarmente presentata la auto-dichiarazione annuale. Per contro l’art. 5 del Decreto “sui reati tributari”, prima della sua modifica ad opera dell’art. 2 co. 36-vecies semel, lettera f) del decreto-legge 13/8/2011 n. 138, puniva con la reclusione da uno a tre anni “chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presentasse, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad € 77.468,53”.

Dal raffronto tra le due norme emergerebbe una irragionevole disparità di trattamento fra il soggetto che, obbligato a versare l’imposta per un importo compreso tra € 50.000,00 ed € 77.468,53 non abbia presentato regolarmente la dichiarazione annuale al fine di evadere l’imposta, e il soggetto che, trovandosi nella stessa situazione, abbia tuttavia presentato regolarmente la dichiarazione senza versare il dovuto entro il 27/12 dell’anno successivo a quello a cui l’imposta si riferisce.

Dunque nel primo caso, appena citato, il contribuente resta esente da responsabilità penale, in quanto non è stata raggiunta la soglia minima prevista per la punibilità per l’omessa dichiarazione, nel secondo caso invece il soggetto pone in essere il reato in ragione del superamento della soglia di € 50.000,00, prevista dalla norma censurata per l’omesso versamento.

La modifica apportata con il D.L. 138/11 ha ridotto il limite punibile a € 30.000,00 relativa alla presentazione della dichiarazione annuale, portandola così al di sotto di quella prevista per l’omesso versamento dell’IVA. Tale emendamento trova però applicazione solamente per i fatti commessi successivamente all’entrata in vigore del predetto decreto e per i reati commessi entro tale periodo.

I rimettenti Tribunali di Bologna e Bergamo dubitano per l’appunto dell’illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/00, poiché la norma “viziata” appalesa l’ingiustificato trattamento in pejus rispetto a quello sanzionato per illeciti più gravi quali la dichiarazione infedele o l’omessa dichiarazione (art. 4 e 5 del medesimo decreto).

In poche parole nel caso di specie l’imputato, quale legale rappresentante di una società, in luogo di presentare regolarmente la dichiarazione IVA e non versare l’imposta dovuta in base ad essa, avendo omesso di presentare la relativa dichiarazione (di € 58.431,00), non si sarebbe reso responsabile di alcun reato, non risultando superata la soglia di punibilità (di € 77.468,53) prevista dall’art. 5 del decreto sui reati tributari.

In tal caso il soggetto, per i reati commessi sino al 17 settembre 2011, deve essere mandato assolto poiché non è stato raggiunto il limite previsto per la punibilità prevista per l’omessa dichiarazione.

Così, se l’imputato, sempre in qualità di legale rappresentante pro-tempore di una società, anziché presentare regolarmente la dichiarazione IVA e non versare l’imposta dovuta in base ad essa, avendo presentato una dichiarazione infedele volta ad occultare il debito di imposta, non sarebbe incorso in alcuna responsabilità penale, rimanendo la violazione al di sotto della soglia di rilevanza prevista dall’art. 4 del D.Lgs. 74/00.

In questo secondo caso, ancorchè condotta meno lesiva per le casse pubbliche, il contribuente integra il reato anche per i fatti commessi sino al 17 settembre 2011, in quanto la soglia di punibilità è stata elevata ad € 50.000,00 ed in conseguenza del superamento della stessa.

Dunque, la norma incriminatrice di cui all’art. 10-ter del predetto decreto è stata introdotta dall’art. 35.7 del D.L. n. 223/06 poi convertito in L. n. 248/06. La norma in oggetto stabilisce che l’omesso versamento di ritenute è punibile penalmente solamente qualora l’ammontare per ciascun periodo di imposta sia superiore a 50.000,00 €.

La lesione del principio di eguaglianza insita in tale assetto è resa ancor più evidente dal fatto che l’omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele costituiscono reati senza dubbio più gravi, sul piano, quantomeno, dell’attitudine lesiva degli interessi erariali, rispetto all’omesso versamento dell’IVA: è ciò sulla base del diverso grado della pena inflitta.

Infine la Corte Costituzionale, accogliendo l’istanza del Tribunale di Bergamo, ha dichiarato incostituzionale l’art. 10-ter D.Lgs. 74/00 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’IVA, dovuta su dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad € 103.291,38.

Nell’incertezza che il Legislatore ha creato circa le soglie di punibilità delle singole fattispecie criminose, che ha, dapprima innalzato e poi diminuito e ancora diminuito (da € 103.291,38 ed € 77.468,53 rispettivamente per la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione, ad € 50.000,00 per l’omesso versamento a seguito di auto-dichiarazione sino a 30.000,00 per la stessa omissione), la Corte Costituzionale si è trovata nuovamente (con ordinanza n. 3 – 11 Novembre 201, n. 319 dichiarò la manifesta inammissibilità della questione di legittimità in relazione all’art. 5 del medesimo decreto, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost.) a pronunciarsi circa la correttezza di queste nei confronti dei principi fondamentali della carta costituzionale.

Da quanto si apprende leggendo la sentenza il grado di confusione creato a seguito delle diverse modifiche legislative ha indotto la Corte a ritenere una soglia univoca per tutte le fattispecie, elevando la stessa al limite più elevato di € 103.291,38, per non creare disparità di trattamento, ed ovviamente in ossequio al principio del favor rei.

Pertanto se il Legislatore vorrà eliminare questo elemento di favore nei confronti dei contribuenti “evasori” dovrà modificare nuovamente le soglie di punibilità, facendo attenzione al fatto che, comunque, al reo si applica la legge più favorevole e soprattutto che la legge non può che disporre per il futuro.

A modesto parere della scrivente chiunque sia stato condannato in via definitiva per i fatti commessi sino alla data della pronuncia in esame potrà richiedere la revisione della sentenza di condanna a norma degli articoli 629 e ss c.p.p.

Mentre per i processi ancora pendenti nel merito, in primo e secondo grado, dovrà essere fatta evidente l’intervenuta pronuncia di incostituzionalità.


Avv. Francesca Bettocchi

bettocchi@nirolatorretta.com

Avvocato in Bologna

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