La Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza del 17 luglio 2014, resa nella causa C-272/13 (Equoland – Ufficio delle Dogane di Livorno) ha ribadito che, in materia di IVA, le sanzioni previsti dai singoli Stati membri devono rispettare il principio di proporzionalità e non eccedere quanto è necessario per garantire l’esatta riscossione dell’IVA e la lotta all’evasione.

Nel caso di violazioni meramente formali, la Corte invita il Giudice nazionale a valutare la proporzionalità della sanzione applicata dagli Uffici, non potendo escludersi a priori che la determinazione forfettaria di una sanzione, così come prevista nell’ordinamento italiano dall’art. 13 D. Lgs. 471/1997, senza che vi sia la possibilità di adeguarla alle specifiche circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata.

Il caso

L’Ufficio dele Dogane di Livorno contestava ad una società italiana la violazione della disciplina dei depositi in materia di IVA, prevista dall’art. 50 bis, comma 4 D. L. 331/1993.

La norma citata, in deroga alla disciplina generale che prevede che l’IVA divenga esigibile nel momento in cui è effettuata l’importazione del bene nel territorio dell’UE, consente di posticipare il versamento dell’IVA sugli acquisti di beni non comunitari destinati ad un deposito IVA, al momento della dichiarazione periodica, invece che al momento della importazione.

La contestazione nasceva dal fatto che la merce, proveniente da un paese extra UE, non era stata introdotta fisicamente nel deposito IVA, ma vi era transitata solo virtualmente, mediante iscrizione nel registro di magazzino del deposito, per essere poi immediatamente estratta dal regime del deposito fiscale.

L’IVA veniva, quindi, assolta dalla società in questo secondo momento mediante il meccanismo dell’inversione contabile.

L’Ufficio delle Dogane chiedeva, quindi, il pagamento dell’IVA, maggiorata della sanzione del 30%, prevista dall’art. 13 D.LGs. 471/1997.

La CTR Toscana sottoponeva alla Corte di Giustizia, tra le altre, la seguente questione pregiudiziale: “la sesta direttiva e la direttiva IVA ostano alla prassi con cui uno Stato membro riscuote l’IVA all’importazione nonostante questa – per errore o irregolarità – sia stata assolta in reverse charge mediante emissione di autofattura e contestaule registrazione nel registro delle vendite e degli acquisti?”.

La decisione

Nel decidere la questione pregiudiziale rimessa al suo esame, la Corte di Giustizia affronta anche il tema della determinazione della sanzione connesso all’omesso (o tardivo) versamento del tributo, prevista in misura forfettaria dall’art. 13 D. Lgs. 471/97.

La Corte ribadisce che sono i singoli Stati membri ad essere competenti in materia di sanzioni, ma le discipline sanzionatorie nazionali devono comunque conformarsi al principio di proporzionalità e “non eccedere quanto necessario per garantire la corretta riscossione IVA ed evitare l’evasione”.

Per verificare se una sanzione sia conforme al principi odi proporzionalità, occorre tenere conto della natura e della gravità della infrazione, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa.

Dall’affermazione di tali principi generali, conseguono i seguenti corollari:

a) In mancanza di un tentativo di frode o di un danno al bilancio dello Stato, il ritardo nel pagamento dell’imposta costituisce una violazione meramente formale;

b) In mancanza di un tentativo di frode o di un danno al bilancio dello Stato, non è conforme al principio di perfetta neutralità dell’IVA rispetto a tutte le attività economiche, una sanzione che di fatto consista nel diniego del diritto a detrazione;

c) La determinazione dell’importo della sanzione secondo una percentuale forfettaria e senza che sia possibile adeguarla alle specifiche circostanze del caso concreto, può eccedere quanto necessario per garantire l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare la evasione. Aggiunge la Corte che non è escluso (ma la valutazione è rimessa al Giudice nazionale) che la sanzione prevista dall’art. 13 D. Lgs. 471/97 violi il principio di proporzionalità;

d) una violazione meramente formale può essere adeguatamente sanzionata con l’applicazione di interessi moratori, purché anche l’importo richiesto a titolo di interessi non risulti sproporzionato rispetto agli obbiettivi del contrasto all’evasione e della puntuale riscossione dell’IVA; la Corte precisa che risulta di certo sproporzionato l’importo richiesto a titolo di interessi moratori, se l’importo globale dovesse corrispondere all’importo dell’imposta detraibile.

Il Giudice del rinvio sarà, quindi, chiamato a valutare se, sulla base delle circostanze del caso concreto e in forza dei principi espressi dalla Corte di Giustizia, l’applicazione di una sanzione forfettariamente determinata alla società italiana sia proporzionata alla natura ed alla gravità della infrazione.

In una tale valutazione, il Giudice nazionale non potrà non tenere in debita considerazione che, secondo la Corte Europea, la normativa comunitaria sebbene non osti ad una disciplina nazionale che subordini la concessione dell’esenzione del pagamento dell’Iva all’importazione alla condizione che le merci importate e destinate ad un deposito fiscale siano fisicamente introdotte nel medesimo, tuttavia osta a che lo Stato membro richieda il pagamento dell’Iva all’importazione sebbene la stessa sia già stata regolarizzata mediante il meccanismo dell’inversione contabile.


Avv. Barbara Colombo (avv.barbaracolombo@gmail.com)

Dott. Riccardo Ciancianaini (ciancia71@hotmail.com)


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