Con la normativa sulle CFC, introdotta dall’art. 1 della Legge 342/2000 e dal D.lgs. 344/2003 ed oggi disciplinata dagli artt. 167 e 168 del TUIR, si mira a contrastare il fenomeno della localizzazione abusiva dei redditi in Paesi a fiscalità privilegiata. In particolare, l’obiettivo sono quelle situazioni in cui società partecipate estere, che non svolgono un’attività effettiva, vengono costituite elusivamente al mero scopo di delocalizzare i redditi facenti capo sostanzialmente a soggetti residenti in uno Stato a regime fiscale ordinario.

Il risultato cui si punta è il rendere imponibili gli utili esteri prodotti tramite un’impresa partecipata localizzata in Paesi a fiscalità privilegiata in capo al soggetto italiano, così come avverrebbe se questi utili fossero generati da una stabile organizzazione facente capo al soggetto partecipante. La disciplina si propone, cioè, di rendere imponibili in capo ai soggetti residenti gli utili prodotti da società residenti o localizzate in paesi a regime fiscale previlegiato o a tassazione ridotta indipendentemente dalla distribuzione degli utili stessi sotto forma di dividendi, attribuendo il reddito prodotto dal soggetto estero situato in questi Paesi al soggetto residente che detiene la partecipazione di controllo o di collegamento.

La differenza con le disposizioni in materia di transfer pricing o con il regime d’indeducibilità dei costi per operazioni intercorse con operatori economici localizzati in Paesi a fiscalità privilegiata, consiste nel fatto che la normativa sulle CFC riguarda i casi in cui un soggetto residente in un Paese a fiscalità elevata fa svolgere le attività a più alto reddito a proprie società partecipate residenti in Stati a fiscalità privilegiata, non distribuendo poi a dette società i dividendi.

La disciplina si applica a tutti i soggetti IRPEF e IRES indipendentemente dal fatto che siano o meno titolari di reddito d’impresa. È sufficiente il controllo anche indiretto di un soggetto giuridico residente o anche solo domiciliato in uno Stato a fiscalità privilegiata, come nel caso di un soggetto che controlli anche senza collegamento un’impresa residente o domiciliata in uno Stato non “white list” e possegga direttamente o indirettamente una partecipazione agli utili non inferiore al 20% (o al 10% se si tratta di società quotata in Borsa).

La disciplina si applica anche nel caso in cui i proventi derivino per oltre il 50% da servizi infragruppo soggette a “tax rate” inferiore a più della metà di quello italiano o anche da “passive income”, cioè proventi non generati da una attività “operativa” ma dalla produttività insita in cespiti di facile mobilità). In questi casi l’interpretazione dell’AdE ricomprende anche i servizi finanziari e di management, i servizi informatici, contabili, amministrativi e financo le lavorazioni (laddove la prassi internazionale non assimila mai tali redditi a redditi di natura passiva).

Il reddito della CFC controllata è determinato secondo i criteri del reddito d’impresa valevoli ai fini del TUIR per la determinazione del reddito d’impresa, ad esclusione della normativa sulla rateizzazione delle plusvalenze applicando le norme stabilite ai fini IRES in materia di deducibilità degli interessi passivi (ex art. 96 TUIR), di riporto delle perdite (ex art. 84), di imprese di assicurazione (art. 111) e di operazioni fuori bilancio (art. 112), mentre il reddito della CFC collegata è determinato assumendo il maggiore importo tra l’utile ante imposte risultante dal bilancio della CFC e il reddito determinato induttivamente applicando dei coefficienti di rendimento al valore dei beni che compongono l’attivo patrimoniale della CFC.

I redditi della CFC sono imputati “per trasparenza” in capo al soggetto residente, come si è detto, a prescindere dalla loro distribuzione, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili e sono tassati separatamente con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente e, comunque, con aliquota non minore del 27% se persona fisica o società di persone e del 27,5% se società di capitali. Eventuali risultati negativi del soggetto residente non possono diminuire i redditi della CFC. E i dividendi distribuiti dalla CFC non concorreranno a formare il reddito del soggetto residente fino a concorrenza del reddito assoggettato a tassazione. I dividendi eccedenti, tuttavia, non potranno beneficiare dell’esclusione del 95% prevista dall’art. 89 del TUIR e saranno quindi tassati al 100% a motivo della bassa tassazione subita dalla CFC. Il soggetto residente godrà di un credito d’imposta detraibile dall’imposta lorda nazionale per le imposte pagate all’estero dalla CFC in via definitiva sullo stesso reddito, nonché, limitatamente all’importo dell’imposta italiana al netto del credito d’imposta e ad un ulteriore credito d’imposta pari alle imposte pagate all’estero dalla CFC in via definitiva in occasione della distribuzione dei dividendi.

L’impatto fiscale della disciplina delle CFC sul tax rate domestico si può determinare considerando solo le imposte sui redditi (non l’IRAP) a partire dal bilancio di esercizio della CFC (redatto secondo le disposizioni locali), apportando le variazioni previste dal TUIR al bilancio della CFC (esclusi gli ammortamenti e gli accantonamenti a fondi rischi, che in ogni caso si considerano dedotti e includendo le perdite fiscali “domestiche” maturate). Il tax rate estero può determinarsi considerando le sole imposte sui redditi della società singolarmente considerata (indipendentemente dall’ente impositore ed esclusa la tassazione di gruppo), il bilancio di esercizio della CFC, le imposte effettivamente dovute così come appostate nel bilancio e nella dichiarazione dei redditi della CFC, le eventuali agevolazioni fiscali accordate dallo Stato estero, eccetto i crediti d’imposta per i redditi prodotti all’estero ed escludendo le perdite fiscali estere maturate.

La normativa CFC non si applica alle imprese localizzate in paesi non “white list” se il soggetto residente, con un’istanza di interpello preventivo, dimostri che la CFC svolge un’effettiva attività industriale o commerciale come sua principale attività nel mercato dello Stato di insediamento o, in alternativa, che la partecipazione non consegue l’effetto di localizzare in redditi in paesi non “white list”. La CFC deve quindi produrre beni o fornire servizi principalmente per il mercato dello Stato estero di insediamento, non essendo sufficiente la presenza di un’adeguata struttura organizzativa e di autonomia gestionale nel paese a fiscalità privilegiata. Secondo l’AdE il riferimento al “mercato” deve intendersi come collegamento al mercato di sbocco o di approvvigionamento, che non necessariamente coincide con i confini geografici del paese, e va pertanto esteso all’area di influenza della CFC. La non applicazione della normativa per via dell’effettivo radicamento non può essere concessa qualora i proventi della CFC derivino per oltre il 50% da “passive income” o da transazioni infragruppo. La disciplina sulle CFC potrà essere disapplicata anche laddove si riuscisse a dimostrare che i redditi della CFC siano stati prodotti, almeno per il 75% di essi, in Stati inclusi nella “white list” ed ivi regolarmente assoggettati a tassazione ordinaria, che la fonte produttiva dei “passive income” generati dalla CFC non è situata nel Paese di sua localizzazione, che il tax rate complessivo di gruppo è allineato con il carico fiscale italiano e che per i servizi infragruppo la CFC opera esclusivamente come intermediaria di altra impresa residente in un paese a fiscalità non privilegiata. La disciplina CFC sarà disapplicabile, ancora, anche se il soggetto nazionale residente sarà in grado di dimostrare che l’insediamento all’estero è effettivo e “non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale” (caso “Cadbury-Schweppes”). La montatura sarà considerata “puramente artificiosa” dove convivano l’elemento soggettivo della volontà di ottenere vantaggi fiscali e l’elemento oggettivo della mancanza di un insediamento reale (presenza di mezzi umani e tecnici sufficienti per svolgere l’attività in modo autonomo) per espletare attività economiche effettive nello Stato estero di insediamento.


Paolo Battaglia

Dottore Commercialista in Ragusa


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