Una cessione intracomunitaria di beni conserva la sua natura ed il regime, che le è proprio, di non imponibilità Iva (esenzione, secondo il dato lessicale della Corte) nello Stato membro di origine anche nel caso in cui, successivamente al momento di effettuazione della compravendita, il cessionario comunichi la cessazione dell’attività con effetti che retroagiscono ad un periodo anteriore all’operazione.

Questa la principale conclusione a cui è giunta la Corte di giustizia UE con la presente sentenza.

Il caso attiene alle cessioni intracomunitarie di beni poste in essere da una società bulgara (Traum EOOD) nei confronti di una società greca (Evangelos gaitadzis) nei mesi di settembre e ottobre 2009 e regolarmente dichiarate al fisco bulgaro (Direktor), producendo, come richiesto dalla normativa nazionale, tutta la documentazione necessaria a comprovare l’esenzione, ossia le fatture, i verbali di consegna, le lettere di vettura internazionali e una bolla di ricevuta delle merci firmata.

Il regime Iva applicato da Traum era stato oggetto di contestazione da parte del fisco bulgaro, inizialmente perché la società greca, che risultava regolarmente iscritta al VIES al momento dell’effettuazione dell’operazione, non aveva né dichiarato l’acquisto intracomunitario, né versato l’imposta nello Stato membro di destinazione dei beni (Grecia) e, successivamente, perché, da un ulteriore controllo, era risultato che la società greca non era più identificata ai fini Iva dal 2006. Il fisco bulgaro contestava anche la mancanza di prove del trasporto della merce fuori dal territorio bulgaro, non riconoscendo valore probatorio alla bolla di ricezione della merce e ai verbali di consegna, principalmente perché non contenevano indicazioni sull’identità, la posizione e i poteri di rappresentanza della persona che aveva ricevuto i beni e apposto la firma sui citati documenti.

Pertanto il Direktor aveva ritenuto le cessioni effettuate nei confronti della società greca soggette ad Iva in Bulgaria.

La Corte, richiamando i principi già esposti nelle sentenze C-273/11 Mecsek-Gabona e C-409/04 Teleos, ha ricordato che una cessione intracomunitaria è esente da Iva se soddisfa i requisiti fissati dall’art. 138, paragrafo 1 della Direttiva Iva e che l’esenzione diventa applicabile solo quando il potere di disporre del bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente, il fornitore prova che tale bene è stato spedito (o trasportato) in un altro Stato membro e, a seguito di tale spedizione (o trasporto), esso ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di origine.

I giudici hanno poi ribadito che, in mancanza di specifiche disposizioni nella Direttiva Iva, a norma dell’articolo 131, spetta agli Stati membri fissare le condizioni alle quali le cessioni sono esentate e dunque le prove che il soggetto passivo deve produrre per beneficiare dell’esenzione. Gli Stati membri, nel fissare le norme interne, al contempo assicurano una corretta e semplice applicazione delle esenzioni e prevengono ogni possibile evasione, elusione e abuso.

La Corte ha, infine, richiamato il principio di certezza del diritto, in ossequio del quale i soggetti passivi devono essere messi a conoscenza dei loro obblighi fiscali prima di concludere un’operazione.

Alla luce di quanto sopra, i giudici hanno ritenuto contrario ai principi comunitari obbligare un soggetto passivo a fornire prova dell’autenticità della firma dell’acquirente, figurante sui documenti di spedizione, e dei poteri di rappresentanza del firmatario; queste prove non sono previste dal diritto interno, ma costituiscono “condizioni supplementari” nel contesto di una verifica fiscale successiva all’operazione; tra l’altro – fa notare la Corte- il Direktor, in un primo tempo, aveva anche accettato come validi i documenti presentati, in conformità della norma interna, per comprovare la spettanza del regime di esenzione, dunque il richiedere successivamente nuove prove pone il soggetto passivo in una condizione di incertezza circa la possibilità di applicare l’esenzione.

I giudici comunitari hanno, inoltre, ritenuto contrario al principio di proporzionalità considerare il fornitore debitore dell’Iva per il solo fatto che si è verificata una cancellazione retroattiva del numero di partita Iva dell’acquirente. Questa conclusione si basa sul fatto che la norma pone a carico del cedente l’obbligo di verificare che, al momento della cessione, la controparte sia un soggetto passivo Iva, verifica che era stata puntualmente compiuta da Traum. Spetta, invece, alla competente autorità nazionale verificare la qualità di soggetto passivo di chi presenta istanza di attribuzione del numero di partita Iva.

Infine, la Corte stabilisce che, gli elementi a sua disposizione non consentono di concludere che Traum fosse parte di una evasione fiscale o non abbia agito in buona fede nel contesto di una eventuale evasione commessa dall’acquirente e dunque rimette al giudice nazionale l’onere di effettuare una valutazione globale della fattispecie al fine di appurare eventuali violazioni.


Simonetta La Grutta

Fonte: Fisco e Diritto 13 ottobre 2014


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