L’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212 sancisce l’obbligo di chiarezza e di motivazione degli atti: “Gli atti della amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama” l’allegazione dell’atto richiamato ha il fondamentale scopo di rendere edotto delle corrette ragioni poste da parte dell’A.F. a fondamento delle motivazioni. I motivi posti alla base dell’atto sono essenziali per la comprensione della pretesa tributaria nell’avviso di accertamento, se tali motivi risultano redatti in modo pressappochistico ed insussistenti gravano insanabilmente l’atto di nullità.

Così anche per la Suprema Corte di Cassazione che con la sentenza n. 22003 del 17 ottobre 2014 ha trattato con grande lucidità e un sicuro dominio le questioni, la Corte con la sentenza indicata ha ulteriormente precisato, qualora ve ne fosse necessità, che:

  1. il fondamento della pretesa fiscale deve trovarsi nell’avviso di accertamento; 
  2. le prove della esistenza di tale fondamento debbono essere enunciate nell’avviso. 

Avvisi di accertamento che non rispettino tali standard sono nulli e la eventuale pretesa dell’Agenzia di integrare le carenze dell’avviso in giudizio è illegittima e va respinta. La Suprema Corte statuisce che “l’avviso di accertamento, nella combinazione dei dati normativi appena citati, è oggi costruito come atto terminale di un ben preciso procedimento amministrativo, l’esito del quale deve trovare riscontro nella motivazione dell’atto stesso, mediante indicazione dei presupposti di fatto acquisiti e delle ragioni giuridiche della pretesa fiscale. Tenuto conto dell’importanza che il profilo riveste anche in prospettiva futura (essendo il sistema fiscale oramai orientato nel senso dell’immediata esecutorietà dell’avviso di accertamento)”, il fine ultimo della motivazione negli atti Amministrativi è senza dubbio quello di “informare” il destinatario dell’Atto delle ragioni giuridiche e di fatto poste alla base dell’accertamento, di modo che lo stesso possa pienamente esplicare il suo diritto di difesa sancito dall’art 24 della Costituzione.

La obbligatoria specificicazione delle motivazioni da indicare nell’atto di Accertamento, così come viene disposto successivamente all’emanazione nel 2000 della L. n. 212 “Statuto del Contribuente”, legge Costituzionalmente guarentigiata in virtù dei rinvii fatti dall’art. 1 dalla stessa Legge 212 , sono il “contrappeso” posto in capo al contribuente di enunciare con la stessa specificità i motivi del ricorso.

A concorrenza di tale preminente funzione di motivazione degli atti, rectius realizzazione del pieno diritto di difesa, ve né un’altra, autosufficiente e non subordinata, vale a dire quella che afferisce al buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione sancita dall’Art. 97 della Costituzione.

Tale principio impone che l’azione amministrativa risulti esplicata in modo appropriato in virtù del raggiungimento dell’interesse tutelato dalla legge. Innegabilmente questa è una ulteriore funzione che l’Art. 7 della L. n. 212 del 2000, richiamando l’art. 3 della legge n. 241 del 1990 per l’appunto “Legge sul procedimento amministrativo”, pone in capo alla Amministrazione Finanziaria sulla obbligatorietà delle motivazioni dei suoi provvedimenti, per dirlo alla maniera della Corte “Il legislatore ha così chiaramente manifestato l’intento di costruire la motivazione, non come enunciazione mera di una pretesa soggetta a verifica processuale (id est, quale causa petendi del futuro giudizio inteso a valutarla, come in sostanza ritenuto dall’amministrazione nel suo ricorso), ma come ratio di una decisione assunta all’esito di una istruttoria (potremmo dire) primaria, svolta nella fase procedimentale e finalizzata, per il principio di buona amministrazione, ad assicurare la realizzazione di un’azione (amministrativa) efficiente e congrua. Di un’istruttoria, cioè, che appunto in vista di tale obiettivo deve precedere l’emissione dell’atto, e di cui, quindi, l’atto finale deve dar conto, seppure in relazione agli esiti finali del procedimento, compendiabili nei presupposti di fatto riscontrati e nella enunciazione delle ragioni giuridiche da cui l’azione possa dirsi sostenuta.

Facendo un breve passo indietro giova rammentare che l’avviso di accertamento non ha funzione di mera provocatio ad opponendum, non essendo affatto la funzione dell’atto quella di provocare l’impugnazione, ma viceversa quella di costituire la fonte provvedimentale di effetti nei confronti del suo destinatario; per l’appunto, l’avviso di Accertamento è un provvedimento autoritativo con il quale si estrinseca il potere impositivo, normativamente predeterminato e destinato a consolidarsi quale fonte immediata dei propri effetti se non tempestivamente impugnato (ex pluribus Cass., SS.UU., 5 ottobre 2004, n. 19854).

Ma vi è di più nell’insegnamento della Suprema Corte con la sentenza n. 22003 del 17 ottobre 2014, nell’ultima parte della stessa infatti, gli ermellini ribadiscono ancora la fondamentale centralità del “contradditorio endoprocedimentale” richiamando tra le altre Cass., SS.UU., 12 dicembre 2009, n. 26635, “In tale contesto si è più volte affermato che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nell’enunciazione del parametro e nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto, che quindi va specificamente enunciato unitamente alle ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente”, tutto come nel solco della illuminata ed illuminate sentenza n. 19667 del 18 settembre 2014 della Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza che ha di fatto canonizzato obbligatoriamente il contradditorio a pena di nullità in merito agli accertamenti.

In ultima chiosa, per quanto sopra enunciato, l’atto di accertamento deve contenere a pena di nullità le complete motivazioni, non potendo essere integrato successivamente né dall’Amministrazione Finanziaria nè tanto meno dal Giudice de quo; una integrazione, per quanto ufficiosa, da parte del giudice, del fondamento o della prova, violerebbe il principio di imparzialità del giudice in aperto contrasto con l’art. 111 della Costituzione. Per dirla in modo crudo, lo stato di necessità, la salvaguardia del gettito erariale, non può far abdicare le regole fondamentali del diritto, per tale china verrebbe svilita la ragione stessa del presupposto.

Nel voler far cassa in tutti i modi per tenere in piedi un sistema si percorrerebbe una spirale autoreferenziale per lo sprofondo.


Dott. Francesco Masala (f.masala70@virgilio.it)

Commercialista in Porto Torres.


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