Chi vorrà acquistare spazi pubblicitari online e link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca, visualizzabili in Italia durante la visita di un sito internet, dovrà rivolgersi solo a soggetti in possesso di partita Iva italiana.


È l’argomento del giorno: l’approvazione della cosiddetta web-tax, ossia la tassa “ad personam” contro Google, accusato dal nostro Stato di fare affari in Italia, ma di non pagare le imposte all’erario. Ciò è possibile perché il colosso statunitense, per quanto riguarda l’Europa, ha fissato la propria sede in Irlanda ( per ragioni soprattutto fiscali). Dunque, gli utili che Google ottiene dalla vendita degli spazi pubblicitari scontano l’imposizione fiscale irlandese e non quella italiana.

Chiariamo meglio di cosa si tratta.

Chi vuol fare pubblicità sul web si rivolge, nella gran parte dei casi, a Google; quest’ultimo – tramite i propri servizi “Adsense” e “Adwords” – mette in vendita banner pubblicitari (“Google Adsense”) o link promozionali (“Google Adwords”) dietro pagamento.

Come detto, gli utili che derivano da tali vendite, anche se effettuati nel nostro Paese, vengono quasi esclusivamente tassati in Irlanda, poiché è difficile per il nostro Stato controllare gli utili derivanti da vendite effettuate in Italia. Questo perché Google può svolgere tale commercio senza bisogno di dotarsi di una partita iva italiana. Il che vuol dire, per il nostro Erario, una perdita, in termini di imposte, di diverse centinaia di migliaia di euro.

Invece, da oggi, o Google si doterà di una partita Iva italiana oppure non potrà più vendere tali servizi alle aziende o ai privati italiani.

La commissione Bilancio, infatti, ha appena approvato un emendamento alla legge di stabilità che impone, a chiunque acquisti un banner pubblicitario sul web (gli inserzionisti, ossia i titolari di un’attività da promuovere), di rivolgersi solo ed esclusivamente a soggetti che hanno una partita IVA italiana [1].

In pratica, la web-tax prevede che per gli spazi pubblicitari online e i link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca, visualizzabili in Italia durante la visita di un sito internet o la fruizione di un servizio online, scatta l’obbligo di acquisto esclusivamente attraverso soggetti in possesso di partita Iva italiana.


Cosa cambia per i cittadini? 

Certo, lo scenario non sarebbe più lo stesso se Google decidesse di interrompere il proprio commercio di banner pubblicitari all’interno del nostro Paese. Uno dei principali volani della new-economy – i banner pubblicitari, appunto – verrebbe meno.

Ma, attesa la mole di incassi cui Google così rinuncerebbe, è da escludere che ciò possa avvenire.

L’adeguamento di Google alla web-tax avrà però ripercussioni sui gestori di siti internet, portali e blog. Questi ultimi, mettendo a disposizione di Google gli spazi pubblicitari all’interno dei propri siti, ricevono da BigG un assegno mensile che consente loro di mantenere i costi dell’hosting e, in alcuni casi, di fare anche un discreto utile. Un piccolo aiuto, specie per i giovani che, di questi tempi, non si può certo disprezzare.

Su tale importo, che Google bonifica direttamente sul conto corrente del proprietario del sito, non si legge la voce IVA.

Ebbene, nel momento in cui Google si doterà di una partita IVA italiana, chi vende gli spazi a Google Adsense dovrà emettere regolare fattura e – a differenza del passato – dovrà anche conteggiare l’IVA, che dovrebbe comunque essere pagata a parte (stesso importo ricevuto oltre IVA). Potrebbe verificarsi, tuttavia, che Google per recuperare i minori introiti derivanti da maggiori tasse possa decidere di ridurre gli importi riconosciuti a titolo di compenso riconosciuti ai gestori dei siti.


Dubbi di legittimità

La web-tax sta creando un acceso dibattito all’interno della maggioranza. C’è infatti chi sostiene che un’imposizione di tale tipo contrasterebbe coi principi di libero mercato all’interno dell’Unione Europea. L’opinione è condivisa anche a livello comunitario. A dire che la web-tax sarebbe contraria alle libertà fondamentali e ai principi di non-discriminazione dei trattati” è Emer Traynor, portavoce del commissario europeo per la fiscalità e l’unione doganale, Algirdas Semeta.

“Invitiamo il Governo italiano ad assicurare che ogni nuova misura legislativa sia appieno compatibile con il diritto europeo”, ha aggiunto Traynor precisando che Bruxelles dovrà in ogni caso analizzare il testo finale “prima di dare un’opinione definitiva. Tuttavia, abbiamo seri dubbi sull’emendamento per come si presenta attualmente”.

Insomma, nulla è ancora perduto. La Comunità Europea potrebbe scendere in difesa di Google e bocciare la norma italiana. Con la conseguenza che nulla cambierebbe rispetto al presente.


Angelo Greco

Avvocato

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