Ai sensi dell’art. 768-bis c.c. “E’ patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti”.

Il predetto articolo è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la Legge n. 55/2006 a seguito dell’adeguamento dello Stato italiano alle prescrizioni provenienti ormai da anni dall’Unione europea.

Già dal 1994 l’Unione europea aveva invitato l’Italia – ed anche quei Paesi (quali Francia, Belgio, Portogallo, Spagna e Lussemburgo) in cui ancora vige il divieto dei patti successori – ad intervenire per abrogare o almeno ridurre l’ambito di operatività di tale divieto al fine di un maggior favor e di una maggior tutela del patrimonio aziendale nel passaggio generazionale della gestione dell’impresa.

Nella Raccomandazione della Commissione CE del 7 dicembre 1994 (94/1069/CE) sulla successione delle piccole e medie imprese si dava infatti atto della cessazione annuale di migliaia di imprese obbligate a chiudere i battenti appunto a causa di difficoltà insormontabili inerenti alla successione dell’imprenditore, con ripercussioni negative sul tessuto economico imprenditoriale nonchè sui relativi creditori e soprattutto sui lavoratori ivi impiegati.

A fronte di tale situazione la Commissione ha pertanto ritenuto necessaria l’adozione di tutta una serie di interventi volti a sensibilizzare, informare e formare gli imprenditori affinchè preparino efficacemente la loro successione fintanto che sono ancora in vita al fine di aumentare le probabilità di riuscita della successione stessa ed ha altresì contestualmente evidenziato l’esigenza di modificare le leggi degli Stati membri al fine di rendere più razionali ed efficienti le norme successorie che regolano il trasferimento delle imprese di piccole e medie dimensioni alla morte dell’imprenditore.

Lo Stato italiano si è quindi adeguato al contenuto di detta Risoluzione emanando la sopra menzionate legge n. 55/2006 sul patto di famiglia introduttiva nel nostro ordinamento giuridico dell’art. 768-bis c.c., il quale disciplina una nuova tipologia contrattuale – da stipularsi a pena di nullità nelle forme dell’atto pubblico – volutamente in deroga ai patti successori ex art. 458 c.c..

L’imprenditore avvalendosi di tale normativa può operare una sorta di successione anticipata nell’impresa con l’accordo di tutti coloro che in caso di apertura della successione al momento della stipula del patto assumerebbero la qualità di legittimari: in tal modo si va a regolare per tempo il passaggio generazionale nella gestione dell’impresa evitando che, al momento della sua morte, l’azienda o le partecipazioni al capitale della società cadano nella comunione ereditaria (con il rischio di frazionamento in conseguenza della divisione) e prevenendo altresì al tempo stesso future liti divisionali o azioni di riduzione tra coeredi mediante l’adozione di alcune misure implicanti la soddisfazione immediata – con conguaglio in denaro – a favore di chi al momento della stipula, in caso di apertura della successione, sarebbe un legittimario pretermesso dall’attribuzione.

Occorre sottolineare che, da un punto di vista oggettivo, il patto può riguardare esclusivamente l’azienda o le partecipazioni sociali dell’imprenditore: non vi è invece spazio per ammettere un patto di famiglia che abbia ad oggetto le possibili altre voci che concorrono a formare il futuro relictum del disponente (il denaro, i crediti, i beni mobili, gli immobili, ecc.), il quale, ove stipulato, ricadrebbe proprio nel divieto dei patti successori sancito dall’art. 458 c.c. di cui l’art. 768-bis c.c. ne è una parziale deroga per espressa scelta legislativa. 

In sintesi con tale meccanismo il patto da un lato realizza una liberalità nei confronti del discendente assegnatario e dall’altro assolve ad una funzione solutoria per quanto attiene alla liquidazione della quota dei legittimari non destinatari dell’assegnazione, anticipando gli effetti non solo dell’apertura della successione ma anche della divisione tra legittimari.

Ovviamente la necessità che il beneficiario liquidi ai legittimari non assegnatari la quota di riserva non snatura il carattere liberale del trasferimento a lui fatto dall’imprenditore. Tuttavia, per il tramite di tale liquidazione, viene dato spazio alla tutela di interessi ulteriori rispetto a quelli legati al mero passaggio generazionale dell’impresa, anch’essi ritenuti rilevanti dal legislatore, qual è quello dello stesso imprenditore di rendere stabile l’attribuzione operata mediante la liquidazione del conguaglio ai legittimari non assegnatari e quello di questi ultimi ad ottenere da subito la loro quota di riserva su tale attribuzione senza mettere più in discussione l’attribuzione operata.

La causa di liberalità dunque senza dubbio persiste, ma ad essa si affianca, senza snaturarla, l’adempimento di un obbligo imposto dalla legge ex art. 768-quater c.c.. e scaturente appunto dalla necessità di liquidare i legittimari.

Dal punto di vista degli effetti la presenza di tale obbligo si sostanzia in un peso gravante sull’attribuzione operata con il patto di famiglia, in tutto simile a quanto accade con il compimento di una liberalità gravata da un onere.

L’assimilazione riguarda però solo gli effetti giuridici della previsione contenuta nell’art. 768-quater c.c., essendovi differenze rilevanti rispetto alle donazioni modali se invece si guarda il momento genetico dell’apposizione del modus: nel patto di famiglia infatti l’onere non ha fonte negoziale ma legale e non costituisce un elemento accidentale dell’attribuzione (che il disponente può decidere di apporre oppure no), ma un elemento necessario imposto proprio dalla legge.

Passando ad esaminare la normativa fiscale si deve evidenziare che non vi è una disciplina che regoli espressamente ed in via generale ed esclusiva il regime tributario del patto di famiglia, pertanto assume particolare rilevanza l’evoluzione giurisprudenziale in materia.

Fino al 2018 la Corte di Cassazione (ordinanza n. 32823/2018) era orientata nel ritenere che l’attribuzione effettuata dal legittimario assegnatario a favore del legittimario non assegnatario dovesse essere tassata come attribuzione tra fratelli e sorelle in applicazione del D.L. n. 262/2006 art. 2 comma 49, convertito con modifiche in Legge n. 286/2006 – la quale ha nuovamente previsto, dopo l’originaria abrogazione del 2001, l’istituzione dell’imposta di successione e donazione a suo tempo introdotta con il testo Unico di cui al D. Lgs. n. 346/1990 ante abrogazione e di cui ne sono state fatte salve, seppur con integrazioni, le regole generali in materia – nella parte in cui è stabilito che se la donazione è fatta congiuntamente a favore di più soggetti o se in uno stesso atto sono compresi più atti di disposizione a favore di soggetti diversi “l’imposta è determinata dall’applicazione delle seguenti aliquote... al valore delle quote dei beni o diritti attribuiti: a) a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, Euro 1.000.000: 4 per cento; a-bis) a favore dei fratelli e delle sorelle sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, Euro 100.000: 6 per cento; b) a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonchè degli affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6 per cento; c) a favore di altri soggetti: 8 per cento”.

Con la sentenza n. 29506/2020 i giudici di legittimità hanno invece effettuato un netto cambio di rotta rispetto alla precedente posizione in quanto si è giunti a ritenere che ai soli fini impositivi la liquidazione operata dal beneficiario del trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie in favore del legittimario non assegnatario ex art. 768-quater c.c. deve intendersi come donazione del disponente  (e non dell’assegnatario) a favore del legittimario non assegnatario con attribuzione dell’aliquota e della franchigia previste effettivamente nel caso concreto con riferimento al corrispondente rapporto di parentela o di coniugio sopra evidenziate ex D.L. n. 262/2006 art. 2 comma 49.

Tale innovazione giurisprudenziale – seppur di primo impatto impercettibile – ha comportato concretamente un notevole impulso all’istituto del patto di famiglia rendendolo decisamente più vantaggioso rispetto al passato e dunque incentivandone il concreto utilizzo.

Per comprenderne l’esatta portata basta calarsi nel caso di un padre che intenda stipulare un patto di famiglia mediante il quale trasferire ad uno dei suoi due figli le proprie quote di partecipazione aziendale.

Ebbene supponendo per semplificazione che non vi siano altri legittimari oltre ai predetti due fratelli e supponendo altresì che la quota di liquidazione compensativa spettante al non assegnatario sia pari ad euro 500.000,00 stando al dictum statuito dalla Corte di Cassazione con la richiamata sentenza del 2008 – in virtù del quale l’attribuzione effettuata dal legittimario assegnatario a favore del legittimario non assegnatario doveva essere tassata come una attribuzione tra fratelli – la liquidazione in questione avrebbe dovuto scontate una imposta del 6% con applicazione di una franchigia di euro 100.000,00, ovvero un’imposta pari ad euro 24.000,00 (500.000,00 - 100.000,00 = 400.000,00*6% = 24.000,00).

Le cose invece cambiano nettamente seguendo il dictum di cui alla Corte di Cassazione n. 29506/2020 posto che, nelle medesime circostanze e nella medesima situazione ipotizzata di una liquidazione compensativa pari ad euro 500.000,00, troverà appunto applicazione nel caso concreto l’aliquota prevista non tra fratelli e sorelle pari al 6% ma l’aliquota ex lege prevista del 4% tra padre e figlio (ovvero nel prospettato esempio rispettivamente il disponente e il legittimario non assegnatario) con la conseguente franchigia di euro 1.000.000,00 e, pertanto, di fatto l’imposta dovuta risulta essere pari a zero.

Ne deriva dunque con tutta evidenza che l’istituto del patto di famiglia a seguito della nuova linea interpretativa fornita dai Giudici di legittimità rappresenta un ulteriore valido strumento di gestione patrimoniale fornito dal nostro ordinamento giuridico che ben si presta a soddisfare l’interesse del privato a voler pianificare il passaggio generazionale della propria impresa, godendo in determinate circostanze di determinati vantaggi fiscali senza incorrere nei divieti successori ex lege previsti, anzi, nel pieno rispetto della legge e soprattutto nel pieno rispetto delle proprie volontà successorie.


Avv. Antonella Florio
www.avvocatoantonellaflorio.it
(Foro di Milano)
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