Il presente articolo prende spunto da alcune, già criticatissime dalla Dottrina in modo unanime, pronunce della Suprema Corte in materia di assoggettabilità ad imposta dei vincoli di destinazione non traslativi (Cass. n.3735-3886-3737/2015).

Sebbene tutti i giorni assistiamo alla deprecabile erosione delle e dalle fondamenta dei pilastri che separano il potere legislativo da quello giudiziario con deprecabili sortite degli Uni nelle competenze degli altri e viceversa, coloro i quali amano ancora credere che siano solo degli incidenti di percorso, purtroppo con Ordinanze come questa sono portati a ricredersi.

Infatti le leggi le dovrebbero fare il legislatore, il potere giudiziario dovrebbe esser deputato a presidiarne la loro applicazione.

Invero con le pronunce in materia di assoggettabilità a tassazione, dei vincoli di destinazione, i Giudici del Palazzaccio hanno dato vita ad una nuova imposta, dotata di autonomia rispetto all’imposta sulle successioni e donazioni il cui presupposto impositivo è l’istituzione dei vincoli di destinazione.

La Cassazione, nelle summenzionate sentenze, ha reiteratamente stabilito, anche qui macroscopicamente errando, l’inesistenza del trust, poiché privo del tipico elemento del trasferimento ad altro soggetto (diverso dal disponente) dei beni istituiti in trust.

Si badi bene che il caso esaminato dai Giudici non esauriva l’universum dei trust ma solo due tipologie di trust quelli di garanzia e quelli autodichiarati, la cui vera comprensione nella loro essenza avrebbe permesso di capire che erano tutt’altro che inesistenti, ma lascerò ad altro scritto l’esame degli stessi e una compiuta analisi della perfetta loro esistenza sia nell’ambito del diritto del trust che secondo la nostra ormai consolidata giurisprudenza (vedasi per tutte la Sentenza 10105 Cass. Penale del 2014).

Ritornando al tema di queste articolo, e se ciò non bastasse gli Ermellini, dopo aver “bollato” di inesistenza i trust oggetto di esame, nelle medesime sentenze stabiliscono che l’oggetto di tassazione è l’istituzione del vincolo in sé a prescindere dal fatto che vi sia o non vi sia il trasferimento del patrimonio.

I Giudici giungono dunque a ritenere applicabile l’imposta sui vincoli di destinazione in assenza di un trasferimento di beni e diritti, in quanto non si è prodotto alcun effetto traslativo ed in mancanza di un arricchimento. Il ragionamento a cui sono giunti gli ermellini si fonda su una evidente contraddizione: se l’utilità economica di cui dispone colui che ha costituito il vincolo è l’indice di capacità contributiva, non si capisce come mai il soggetto passivo sia stato individuato in colui che ha costituito il vincolo e non sul beneficiario finale di tale utilità.

Lo sviluppo argomentativo della Cassazione nelle varie ordinanze appare quantomeno forzato, in quanto insiste sull’esistenza di una imposta nuova ed autonoma in mancanza di un atto di trasferimento, di liberalità e/o di arricchimento di una sfera giudico – patrimoniale altrui, diversa da quella del disponente. Se stressassimo il ragionamento della Suprema Corte, strictu sensu, avremmo effetti dirompenti anche su altri istituti la cui qualificazione e trattamento fiscale, anche da parte della Suprema Corte, non è mai stata messa in discussione. Infatti tale imposta dovrebbe essere applicata, mutatis mutandis, anche ad altri negozi giuridici che in comune con i trusts abbiano l’effetto di porre sui medesimi un vincolo di destinazione (quali ad esempio le intestazioni fiduciarie, le istituzioni di fondi speciali per la previdenza e assistenza, le fondazioni, le iscrizioni ipotecarie, i pignoramenti etc.).

L’Agenzia delle Entrate con la circolare n.48/E del 6 Agosto 2007, aveva già ampiamente spiegato – peraltro con ammirevole sforzo interpretativo – che l’imposta si applica a tutte le tipologie di trust e si applica al momento del conferimento dei beni in trust e non al momento in cui sopraggiunto il termine finale e divenute le posizioni beneficiarie quesite. Ben 8 anni prima di quanto oggi stabilito dai giudici del Palazzaccio, l’Agenzia delle Entrate – nel tentativo di evitare fenomeni di doppia imposizione – aveva chiarito che l’imposta va applicata al momento dell’atto dispositivo con cui il disponente vincola determinati beni in trust, ciò in quanto tutte le vicende del trust sono legate ad un’unica causa.

L’Amministrazione finanziaria, infatti, ha ritenuto – e ritiene tutt’ora – di non rinviare a data incerta il momento della tassazione, poiché potrebbe capitare che al momento della dotazione del trust non si conoscano i beneficiari finali.

Non è plausibile la fantasiosa ricostruzione operata dalla Corte sull’esistenza, all’interno di un unico comma, di due diverse imposte con distinti presupposti, ossia: l’imposta sulle successioni e donazioni ed una separata ed autonoma sui vincoli di destinazione in quanto la volontà del Legislatore emerge in modo chiaro ed incontestabile nell’art. 2 comma 47 DL 262/2006.

Inoltre, tale imposta creata in modo fantasioso dalla Corte si fonda su evanescenti presupposti ed è priva di soggetti passivi individuati, di un indice di capacità contributiva che viene comunemente inteso come espressivo di capacità economica, pertanto, impossibile ed ingestibile, nonché incostituzionale. Nei casi in esame, la Cassazione postula un prelievo su atti che denotano un impoverimento, una diminuzione patrimoniale, una perdita di utilità e non un’imposta incentrata sul patrimonio e prelevata in occasione di atti di trasferimento dello stesso (come nel caso di un tributo successorio).

Chiariti i punti chiave del dibattito insorto dalle distorsioni emerse nella pronunce della Suprema Corte volte a tentare di smontare timidamente, e infruttuosamente, il trust, occorre aggiungere che la nostra cultura giuridica non merita vedersi chiudere le porte sulle importanti evoluzioni conseguite fino ad oggi in materia di autonomia privata e di uguaglianza tributaria, nonché di capacità contributiva.


Giuseppe Lepore

gl@studiogiuseppelepore.it

Ragioniere commercialista in Savona


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